Si tratta di una esposizione di opere calcografiche che mette a confronto il linguaggio espressivo di quattro protagonisti della cultura artistica milanese, amici e colleghi soci della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano, attraverso la lettura incrociata di venti tavole di grande formato e magici ricordi.
da Il gioco della memoria nel divenire del tempo di Angela Manganaro
Cannaò, Santoro, Togo, Venditti, quattro artisti che rivelano una particolare sintonia con l’incisione, nata come tecnica di riproduzione nel XIV sec. per la stampa dei tessuti e il secolo dopo utilizzata in Germania e in Italia per l’illustrazione di libri, attraverso la xilografia prima e la calcografia con incisione su rame dopo.
Grazie alla linoleografia, diretta discendente della xilografia, Cannaò racconta di un toro che decide di abbandonare il gioco perverso della corrida per affrontare la vita che c’è fuori dal suo mondo. La “favola del Toro”, grazie a un solco vivace e ampio, materializza una serie di personaggi che dominano la scena senza mai debordare, in un equilibrio surreale. E su tutti si posa lo sguardo maestoso di guardiani silenti che guardano il cielo in cerca di buone nuove. Loro, che mostruosamente irridono alla bellezza della luna da mutanti discreti. Col rispetto dovuto a una signora.
Al segno grosso e appagato del linoleum, si contrappone il graffio delle acqueforti e delle puntesecche di Santoro. Qui i volumi si creano come per magia nella trama dei neri, velature e trasparenze s’intrecciano con un segno che gioca a scoprire ciò che al primo sguardo sembra voler nascondere. Così un viso tradisce una precisa fisionomia anche se non ha alcun segno che faccia di un ovale una mappa di ricettori di senso: non ci sono occhi, non c’è un naso, non c’è una fronte, forse c’è uno scherzo d’orecchio, ma sicuramente c’è il volto di un uomo. Magia del segno, alchimia dell’arte che svela senza dare, che mostra ciò che è solo possibile annusare.
Fa da contro canto all’accenno, all’esserci in punta di piedi di Santoro, la presenza marcata di Togo con i suoi neri ottenuti con un corpo a corpo vigoroso con la lastra di zinco. Suggestiva la donna che si staglia su una marina notturna in cui dominano le simmetrie doppie: le due palme in primo piano si piegano verso i due seni della donna, così come fanno le piccole palme sullo sfondo. Al centro, la calma assoluta della luna stempera l’ansia dell’attesa. Almeno per ora, sembra dire l’artista, tutto è sospeso, l’arrivo dell’uomo dalla pesca, il sorgere del giorno, la marea che si alza. Niente è dato e, quindi, tutto è possibile.
Tempo rarefatto in Togo, tempo schizzato fuori dal quadrante in Venditti. Qui il divenire si avvoltola per costringerci a sentire il battito del nostro cuore. Inevitabilmente la nostra vita è movimento – sembrano dirci le incisioni di questo artista – siamo energia pura, siamo corpo e pensiero in vorticoso andare, siamo vita che vive in fretta. In una riscrittura moderna della tensione del futurismo al movimento, Venditti, con un segno che gioca sul contrasto emozionale tra il nero e il seppia. Tutto diviene, si trasforma non c’è già più. Restano solo tracce di ciò che è stato. Frammenti del gioco appena giocato. Impronte di vita.