La tesi principale di “E giochi con le asce e alla fine tu splendi come loro” ha inerenza con il tema più generale dell’identità: la possibilità, in seguito all’esperienza pericolosa del disturbo mentale, di superare i rischi e lasciare al tempo stesso che questi, in forma di ricordo, divengano un arricchimento.
L’esperire del disordine psichico è assimilabile all’esperire della forza informe del reale; mentre la traduzione in opera è assimilabile alla sublimazione, intesa come dare forma, grazie ad una organizzazione simbolica (attraverso l’Altra Cosa), al vuoto della Cosa (eccessivamente pieno di godimento), costituito dall’‘estimità’ (interno escluso immanente al soggetto; centro esterno al linguaggio).
L’apollineo dà esistenza alla forma perché è già stata raggiunta la verità tragica sull’assenza di fondamento dell’esistenza (ossia il reale della Cosa, ossia il dionisiaco).
Diversamente da una esibizione immediata ed orrorifica del reale primordiale (esibizione riscontrabile nella clinica contemporanea e nelle tendenze più attuali dell’arte – come ad esempio nella Body Art –), l’organizzazione in forma simbolica di Das Ding si costituisce come una difesa, la quale consente una soddisfazione pulsionale non vincolata alla soddisfazione sessuale. In altri termini, diversamente da una degradazione dell’oggetto immaginario al reale della Cosa, il procedimento sublimatorio permette una elevazione di un oggetto alla dignità della Cosa.
Nello specifico di “E giochi con le asce e alla fine tu splendi come loro”, ciascuna immagine si erge, simbolicamente, a raffigurazione di un sintomo pacificato. Ciascuna immagine intrattiene un rapporto speciale con il vuoto della Cosa – il disturbo mentale – (di per sé irrappresentabile, in quanto centro esterno al linguaggio); vela tale vuoto organizzandolo simbolicamente in una forma attraverso il significante dell’Altra Cosa, segno di una mancanza.
La graduale definizione dei caratteri identitari di un soggetto è influenzata, non solo dal vissuto, in questo caso, di un disturbo mentale, ma anche dalla sua messa in forma: il farsi dell’opera nella sua organizzazione formale diviene una riscrittura retroattiva della biografia del suo artefice, ossia una rilettura della vita intesa non come cancellazione della vita che sinora è stata, bensì come sua risoggettivazione progressiva.
In altri termini, “E giochi con le asce e alla fine tu splendi come loro” affronta l’argomento dei disturbi mentali attraverso un approccio simbolico. L’idea consiste nel mostrare la pacificazione dei sintomi (i sintomi hanno influenza sull’identità, anche quando non si manifestano). L’idea si concretizza in dodici scatti, ognuno dei quali ritrae il medesimo soggetto. Questi impersona, di volta in volta, mediante diversi oggetti, un determinato sintomo.
È possibile aver vissuto sintomi psichiatrici (“E giochi con le asce”) ed ora considerarli parte di sé, risplendere della loro luce (“e alla fine tu splendi come loro”).